COP29: 300 miliardi di dollari ma il futuro resta incerto

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Di Fabio Cortese

La COP29, il vertice mondiale sul clima conclusosi a Baku, ha portato almeno un risultato tangibile: l’impegno a destinare 300 miliardi di dollari all’anno ai Paesi poveri per contrastare gli effetti devastanti del cambiamento climatico. Tuttavia, come spesso accade in questi summit, il bilancio finale ha lasciato sentimenti contrastanti tra soddisfazione e scetticismo.

Una COP29 segnata dal business e dalle incertezze politiche

Nonostante l’importanza cruciale del vertice, l’impressione generale è che le decisioni prese siano più influenzate da interessi economici che dalla reale urgenza di affrontare i cambiamenti climatici. I Paesi più poveri, pur essendo tra i più colpiti dagli eventi climatici estremi, ritengono che la cifra stabilita sia insufficiente rispetto ai 1.500 miliardi di dollari ritenuti necessari per affrontare adeguatamente la crisi.

Nel frattempo, i Paesi ricchi, guidati dai grandi produttori di petrolio, hanno tracciato una strada che sembra più orientata a preservare i propri interessi economici che a promuovere una vera transizione ecologica. L’impegno preso a Baku potrebbe essere compromesso da un fattore politico chiave: “l’incertezza” sulle decisioni future degli Stati Uniti.

Il ruolo degli Stati Uniti e il “convitato di pietra”

Con le elezioni presidenziali americane ormai concluse, il risultato potrebbe stravolgere gli equilibri internazionali. Joe Biden, promotore di una politica climatica più progressista, ha assunto impegni concreti durante il vertice. Tuttavia, l’avvicendamento alla Casa Bianca con il ritorno di Donald Trump potrebbe portare gli Stati Uniti a ritirarsi dal documento finale di Baku, compromettendo il piano finanziario e le relative strategie.

Cina ed Europa: tra contraddizioni e difficoltà interne

Se gli Stati Uniti navigano in un clima di incertezza, la Cina continua a giocare un ruolo ambivalente. Nonostante sia il principale emettitore mondiale di gas serra, il Paese asiatico ha consolidato il suo dominio nel mercato delle rinnovabili e avviato programmi di aiuto per i Paesi in via di sviluppo, guadagnando una posizione di vantaggio geopolitico.

L’Unione Europea, portabandiera del Green Deal, appare invece frenata da contrasti interni. Movimenti nazionalisti e contrapposizioni ideologiche tra gli Stati membri stanno rallentando politiche climatiche di ampio respiro, minacciando di compromettere il ruolo guida dell’Europa nella transizione ecologica globale.

Uno sguardo al futuro: COP30 e nuove sfide

Il prossimo appuntamento sarà la COP30 in Brasile, un Paese già al centro delle polemiche per l’incessante deforestazione dell’Amazzonia. La leadership di Luiz Inácio Lula da Silva, pur dichiarandosi favorevole a politiche sostenibili, sembra incapace di arginare le pressioni economiche legate agli allevamenti intensivi e all’agricoltura industriale.

Con lobby potenti pronte a influenzare l’agenda del prossimo vertice, è difficile prevedere progressi significativi. Come sottolineato durante la COP29, i Paesi poveri continuano a contare troppo poco nelle decisioni globali. Intanto l’anno 2024 si è già registrato come il più caldo di sempre. La COP29 di Baku ha rappresentato un piccolo passo avanti nella lotta al cambiamento climatico, ma le sfide restano enormi. La cifra stanziata, sebbene significativa, non è sufficiente per affrontare l’emergenza in modo efficace. Inoltre, le tensioni geopolitiche e gli interessi economici sembrano ancora dominare il dibattito, minando la possibilità di un’azione collettiva e incisiva.

Con il mondo sempre più colpito dagli effetti del riscaldamento globale, il tempo stringe. La speranza è che la COP30 in Brasile possa segnare una svolta decisiva. Anche se, ad oggi, il futuro appare incerto e carico di ostacoli.

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