Si sta per aprire a Dubai la Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici e visto che si tratta della 28a assise su questo tema, senza troppa fantasia viene chiamato COP28 questo appuntamento. Dal 30 novembre al 12 dicembre i governi del pianeta si confronteranno con le pressanti scadenze della transizione ecologica. Va da sé che questo significherà affrontare le drammatiche differenze sociali e geopolitiche che affliggono il mondo.
Per spiegarlo meglio, pensate ad una coppa di champagne di quelle grandi, poco alte, che si reggono su un lungo sottile stelo. E’ così che “The Guardian” rappresenta la distribuzione dell’impatto sull’ambiente da parte della popolazione mondiale. Quello che sta più in alto nel bicchiere, dove va a finire lo champagne insomma, è l’1% più ricco dell’umanità eppure rappresenta quasi un quinto di tutte le emissioni di CO2. E’ l’elite inquinatrice, o “the polluter elite” come lo chiama lo studio che il giornale inglese ha svolto in collaborazione con Oxfam, con lo Stockholm Environment Institute e con esperti di caratura internazionale.
‘The Great Carbon Divide‘ dimostra con l’eloquenza propria dei numeri come le diseguaglianze sociali vadano determinando una frattura se possibile ancora più ampia tra Paesi ad alto reddito ed il resto del mondo. Un dato su tutti: l’Africa, che pure rappresenta un abitante su sei del pianeta, è responsabile solo del 4% di emissioni.
Lo studio testimonia come la transizione ecologica non può discostarsi da una profonda revisione degli equilibri sociali e degli stessi rapporti internazionali. “Non tassare la ricchezza permette ai più ricchi di derubarci, rovinare il nostro pianeta e restringere gli spazi democratici. Sono in gioco trilioni di dollari da investire nelle sfide ‘green’ del 21° secolo, ma è anche ossigeno per le nostre intossicate democrazie”. A dirlo non è un qualche tardo epigono sansimoniano, ma il direttore esecutivo ad interim di Oxfam International, Amitabh Behar.
Senza finire in uno sciocco pauperismo di facciata, c’è da mettere in campo nuovi atteggiamenti virtuosi, nuovi modelli comportamentali, nuovi modi di pensare la produzione, la distribuzione e il consumo. Nello sviluppare le sue filiere strategiche, l’economia circolare già disegna spazi di libertà individuale e collettiva.
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