Primo Maggio. Intanto … la dovremmo chiamare Festa del lavoro o Festa dei Lavoratori? Cominciamo da qui perché la questione non è filata con lana caprina, visto che anche l’osservatore più distratto converrà che c’è una qualche differenza tra il celebrare un’attività o chi invece quell’azione la svolge. Prendiamo allora per buona la definizione inglese di “International Workers’ Day”, ma facciamolo sottovoce. Perché nel Paese che ha istituito le Trade Unions, nella patria dei primi sindacati operai, oggi il Primo Maggio è finito intruppato nell’anonimo Lunedì di un Bank Holiday.
Festa dei lavoratori dunque, ma forse è tempo di adeguare la stessa definizione di lavoro ai tempi dell’oggi e dell’immediato domani. Anche per il concorso dell’emergenza pandemica, andiamo infatti assistendo ad una frattura anche generazionale tra differenti idee di lavoro.
Pensiamo proprio a quello che impropriamente chiamiamo “smart working”, al fatto che milioni di persone hanno proseguito a lavorare senza recarsi fisicamente su quello che è stato il luogo per esercitare le loro attività. Con il lockdown, abbiamo finito per interrogarci non più sul “dove”, ma sul “come” lavorare. Le moderne tecnologie non hanno peraltro messo da parte il senso collettivo del lavoro, perché nuove e a volte più complesse comunità si sono venute a formare nel misurarsi su progetti comuni. Significativamente, la fine dell’emergenza pandemica non ha chiuso quelle esperienze, ma semmai le ha strutturate in modo più organico.
La bioeconomia, l’economia circolare fanno da stimolo a questi nuovi processi produttivi, anzi in qualche misura suscitano nuove idee, nuove professioni, nuove idee di lavoro. Dal design all’artigianato, vecchi e nuovi mestieri si propongono per un modo radicalmente diverso di pensare l’economia, i rapporti di produzione, i meccanismi di distribuzione. E – perché no? – nel celebrare il lavoro e i lavoratori sarà bene festeggiare ogni anno un po’ di più il tempo libero. Buon Primo Maggio.
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